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Keptorchestra
KEPTORCHESTRA Omaggio a Marco Tamburini A quasi un ventennio dal suo scioglimento, in esclusiva per il Candiani, si riunisce la Keptorchestra, big–band fra le più importanti del jazz italiano contemporaneo, per rendere omaggio all’amico Marco Tamburini, prematuramente scomparso lo scorso 29 maggio, che fu uno dei suoi fondatori, oltre che fra i suoi più autorevoli e apprezzati esponenti. Vent’anni dopo, e con tante cose ancora da raccontare, perché gran parte di quelli che erano allora i suoi giovani solisti sono diventati oggi protagonisti di primo piano del nostro movimento jazzistico. Un forte nucleo veneto (che, oltre a Marini, De Vincenzo e i fratelli Tonolo, comprendeva anche il sassofonista Maurizio Caldura, morto nel 1998), tre musicisti emiliani (Rossi, Odorici e Tamburini), tre lombardi (Negri, Sandro Gibellini e Marco Vaggi, poi sostituito dall’americano Marc Abrams) e una coppia di jazzisti genovesi (Kramer e Casati), hanno dato vita nella seconda metà degli anni Ottanta a quella che sarebbe diventata in pochi anni un punto di riferimento del jazz orchestrale nel nostro paese. La big–band si è presentata per un decennio come una sorta di laboratorio aperto, che ha consentito a molti dei suoi membri di fare le prime importanti esperienze nel campo dell’arrangiamento e della composizione. Va detto, in generale, che le cosiddette big–band – al centro dello sviluppo e del successo del jazz negli anni ’30 e ’40 negli Stati Uniti – erano formazioni dove ci si divertiva molto, forti di una ricchezza di suono e di una carica ritmica difficile da trovare nei piccoli gruppi: l’incastro tra le sezioni degli ottoni e delle ance, sapeva produrre risultati coinvolgenti e suggestivi. Come ha meglio precisato Pietro Tonolo in una recente intervista: «…nella Keptorchestra vi era, di fatto, una generosità spontanea con quell’effetto di “opulenza sonora” che diventava puro divertimento, oggi sempre più difficile da trovare, vista la crisi economica. Oggi i gruppi tendono a ridursi. La nostra è stata una formazione che ha dato grandi soddisfazioni a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di suonarvi, con una significativa collaborazione da parte di Steve Lacy, risultata alla fine molto proficua. L’unico rammarico è forse rappresentato dal fatto che la Keptorchestra non sia stata documentata discograficamente come forse avrebbe meritato. E lo meritava, visto che si trattava di un collettivo affiatato che dava il meglio di sé dal vivo, grazie alla presenza di una serie di elementi anche spettacolari, di musicisti dalla personalità molto forte, che sapevano regalare momenti irripetibili e situazioni al limite dell’happening. C’era molta creatività, molto divertimento, perseguito con serietà ed alto livello, senza troppe velleità o pretese intellettualistiche». Vale la pena di ricordare che Keptorchestra ha lavorato con altre due leggende viventi del sassofono, entrambi ancora attivi, Lee Konitz e Joe Lovano. Ma mentre della collaborazione con Konitz non esiste alcuna documentazione discografica, a testimoniare quelle con Joe Lovano e Steve Lacy rimangono due preziosi e ormai introvabili album della veneziana Caligola Records, Sweet sixteen (1994, in studio con Lacy) e Miss Etna (1996, dal vivo con Joe Lovano). Questi due eccellenti lavori erano stati preceduti da un disco altrettanto importante, che porta semplicemente il titolo di Keptorchestra, pubblicato dalla Nord Sound nel 1991, che pur senza avvalersi del contributo di ospiti prestigiosi, ha avuto il merito di far conoscere la giovane big–band a moltissimi appassionati italiani. Claudio Donà 
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  • Programmazione da Giovedì 25/04/2024
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